Il Museo dell'innocenza by Orhan Pamuk

Il Museo dell'innocenza by Orhan Pamuk

autore:Orhan Pamuk [Pamuk, Orhan]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858406946
Google: OMhCdjOyg3cC
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2012-11-26T23:00:00+00:00


53. IL DOLORE DI UN CUORE INFRANTO E RISENTITO NON SERVE A NESSUNO

Per il resto della serata non aprii bocca. Quello che avevo appena vissuto si chiama «delusione d'amore»: penso che questo cuore rotto di porcellana, che espongo qui, potrà far capire fino in fondo la mia sofferenza a chiunque visiterà il nostro museo. Non vivevo più il mio dolore come l'estate precedente, sotto forma di agitazione, disperazione o rabbia. Adesso era una sofferenza più diffusa, in un certo senso sfuggente, che pareva scorrermi nelle vene, mescolata al mio stesso sangue, perché vedere Füsun tutti i giorni, oppure un giorno si e uno no, aveva ridotto l'intensità del mio dolore facendo nascere in me nuove abitudini che mi permettevano di conviverci; tali abitudini si erano annidate nella mia anima durante l'estate e mi avevano trasformato in un uomo diverso. Non trascorrevo la maggior parte delle mie giornate a lottarci contro: lo soffocano, lo mascherano o lo ignorano.

La mia sofferenza amorosa si era alleviata, lasciando il posto a qualcos'altro: una dolorosa umiliazione. Inizialmente pensavo che Füsun sarebbe stata attenta a non farmi soffrire, che avrebbe evitato argomenti e situazioni spiacevoli o che avrebbero potuto ferirmi nell'orgoglio. Ma dopo le sue ultime insultanti parole compresi che non potevo più fare finta di nulla.

In un primo momento riuscii a fingere che Füsun non avesse mai detto (come se io fossi sordo!) quelle parole che continuavo a sentirmi nella testa («Ce li darai davvero quei soldi...

Noi siamo stanchi»). Ma io le avevo risposto («Davvero?»): era la prova che quella frase l'avevo sentita veramente.

Non me l'ero immaginata: non potevo neppure far finta di non essere offeso - del resto il mio muso lungo parlava chiaro.

Tale era la mia sofferenza che facevo fatica a muovermi: con quelle parole che mi rimbombavano nella testa mi sedetti su una sedia, la bottiglia di gassosa in mano. La cosa più umiliante non era tanto l'aver ascoltato quelle parole, ma che Füsun fosse consapevole dell'umiliazione che stavo subendo.

Mi sforzai di pensare ad altro. Ricordo che durante l'infanzia o nei primi anni dell'adolescenza, quando mi annoiavo a morte e volevo pensare ad altro, mi estraniavo in pensieri metafisici: «A cosa sto pensando ora? Penso ciò che penso!» Dopo essermi ripetuto meccanicamente quelle parole, mi voltai verso Füsun e le dissi risoluto: - Bisogna restituire i vuoti -. Le presi di mano la bottiglia della gassosa, mi alzai e mi allontanai. Nell'altra mano avevo la mia bottiglia.

C'era ancora della gassosa. Nessuno mi guardava, così versai ciò che rimaneva nella bottiglia di Füsun e restituii la mia vuota al ragazzo che le vendeva. Tornai indietro con in mano quella di Füsun che espongo qui.

Füsun stava parlando con suo marito e non mi avevano visto. Non riuscii più a concentrarmi sul film: la bottiglia che fino a un momento prima aveva sfiorato le labbra di Füsun, adesso era nelle mie mani tremanti. Basta, non volevo pensare ad altro: l'unica cosa che desideravo era tornare, al mio mondo, alle mie cose. Per anni ho conservato questa bottiglia sul comodino accanto al mio letto a Palazzo della Pietà.



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